Macbeth al Maggio Musicale Fiorentino: cantanti straordinari, una regia che divide
di
Gabriele Isetto
E’
dal 2013 che il Macbeth di Giuseppe
Verdi mancava sul palcoscenico del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e, a
distanza di alcuni anni, il regista Mario Martone lo ripropone con una
personale chiave di lettura che ha diviso il pubblico creando pareri
contrastanti.
Prima
di parlare della regia, vorrei soffermarmi sui punti di forza di questo
allestimento e cioè la direzione d’orchestra, il coro e i cantanti.
Con una padronanza tecnica impeccabile e un equilibrio ideale tra esigenze sceniche e orchestrali, il direttore Alexander Soddy propone una partitura avvolta da tensione e mistero, costruita su un attento gioco di contrasti dinamici e su un ritmo sempre vivo e teatrale.
Con una padronanza tecnica impeccabile e un equilibrio ideale tra esigenze sceniche e orchestrali, il direttore Alexander Soddy propone una partitura avvolta da tensione e mistero, costruita su un attento gioco di contrasti dinamici e su un ritmo sempre vivo e teatrale.
Lorenzo
Fratini, come sempre, guida il coro del teatro con grande maestria valorizzando
tanto le streghe, che in quest’opera hanno un ruolo fondamentale e che grazie
alle raffinate coreografie curate da Raffaella Giordano si muovono con una
gestualità “diabolica”, tanto il coro di «patria oppressa» che ha ricevuto
lunghi applausi.
Strepitosi
i cantanti. Luca Salsi è ormai un esperto del personaggio di Macbeth: il suo
timbro vocale e la sua presenza scenica sono perfetti per interpretare questo
ruolo. Al suo fianco si è esibita una strabiliante Vanessa Goikoetxea nella
parte della Lady con una voce luminosa e ben proiettata che si accompagna a una
presenza scenica intensa e controllata. La storia di Macbeth è molto complicata e ricca di personaggi, tutti
interpretati con grande professionalità, applauditi anche a scena aperta:
Antonio Di Matteo (Banco), Elizaveta Shuvalova (Dama), Antonio Poli (Macduff),
Lorenzo Martelli (Malcom), Egidio Massimo Naccarato (Domestico), Huigang Liu
(Medico), Lisandro Guinis (Sicario), Dielli Hoxha (Araldo), Nicolò Ayroldi
(Prima apparizione), Aurora Spinelli (Seconda apparizione) e Caterina Pacchi
(Terza apparizione).
Come
scritto all’inizio dell’articolo, la regia di Martone ha creato pareri
contrastanti: se vi aspettate di vedere un Macbeth
ambientato all’epoca di Shakespeare allora non è uno spettacolo che fa per
voi. Il regista infatti ha ambientato l’opera in un epoca atemporale e in
un’atmosfera quasi dark collegando elementi antichi con elementi scenici
contemporanei come ad esempio le divise mimetiche e i fucili per i soldati o la
Lady con il cellulare nei momenti fondamentali dell’opera. Ci sono stati anche
dei momenti di grande impatto visivo come il grande cavallo nero (vero) che
entra in scena all’inizio dell’opera. Un elemento che richiama con forza la contemporaneità,
e in particolare il drammatico momento storico che stiamo vivendo, è
l’inserimento durante il coro «patria oppressa» di immagini video raffiguranti
la distruzione di Gaza.
Tutti
i personaggi sono avvolti dalla quasi oscurità del palcoscenico facendo vivere
la vicenda come un incubo e la scenografia, ideata da Mimmo Paladino, è scarna,
pressoché assente, a parte alcuni elementi scenici come ad esempio i tre troni
e un grande specchio per le apparizioni. Questa è una scelta azzeccata anche
perché, come afferma il regista: «Il male è in ognuno di noi.»
Per
quanto riguarda i costumi, curati da Ursula Patzak, alcuni sono più belli di
altri, in particolare quelli della Lady durante la scena del banchetto, scena
che risulta essere una delle migliori a parere di chi scrive.
Tra
una direzione d’orchestra precisa e avvincente, un coro di grande impatto,
cantanti straordinari e una regia coraggiosa che mescola tradizione e
contemporaneità, lo spettacolo lascia un’impressione forte e duratura,
invitando il pubblico a riflettere sul potere, sull’ambizione e sulle ombre che
abitano ciascuno di noi.
Le
foto a corredo dell’articolo sono di © Michele Monasta