Un grande cast per Falstaff a Windsor

di Gabriele Isetto



Cosa salvare dello spettacolo Falstaff a Windsor, scritto e diretto da Ugo Chiti, liberamente tratto da Le allegre comari di Windsor? La risposta è molto semplice: il cast.
Su tutta la compagnia spicca la bravura e la simpatia di Alessandro Benvenuti che dà vita in maniera perfetta al protagonista, il più famoso personaggio tragicomico del teatro elisabettiano. La sua grande attorialità e le sue espressioni hanno catturato il pubblico anche grazie alla sintonia creata con il bravissimo Paolo Cioni che, con la sua parlantina e la sua mimica, si cala nei panni di un personaggio creato da Chiti: Semola, un giovane ragazzo che diventa paggio di Falstaff. Bravissime le tre protagoniste femminili Giuliana Colzi, Lucia Socci e Elisabetta Proietti che con la loro comicità interpretano coloro che “puniscono” il protagonista, rendendo più viva l’azione.
Sicuramente ottima anche la prova di tutto il resto del cast, appartenente alla Compagnia Arca Azzurra che, con adeguata presenza scenica e spiccate doti recitative ha fatto divertire e riflettere il pubblico. Questi i loro nomi: Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti e Paolo Ciotti.
Come accennato precedentemente, Ugo Chiti ha mischiato tra loro vari elementi, pescando anche dai drammi Enrico IV ed Enrico V, riscrivendo e modificando alcune cose del testo originale di Shakespeare, come ad esempio la sostituzione di  miss Quickly con la dama di compagnia della signora Ford, cose che a parer mio potevano rimanere invariate perché niente aggiungono alla vicenda, mentre è azzeccato e funzionale l’inserimento del paggio Semola, personaggio completamente inventato. Per quanto riguarda il finale, Ugo Chiti apporta un grande cambiamento perché, come afferma il regista stesso, “l’asprezza di una condanna che ribadisce come nell’ordine prestabilito del potere non si trovi posto dove collocare un corpo tanto grande quanto irrazionale e magico.” Ecco allora che ci troviamo sì nel parco di Windsor sotto la grande quercia ma non c’è più lo scherzo finale con i folletti e gli spiritelli e al suo posto un’apparizione del re Enrico che mette al bando il protagonista. Personalmente non concordo con questo, ritenendo che il finale della commedia di Shakespeare sia già perfetto con la grande beffa di tutti ai danni di Falstaff.


Semplice e scarna la scenografia di Sergio Mariotti composta solamente da gradoni, quinte laterali e sul fondale un telo dove lo spettatore forse si sarebbe aspettato di vedere delle proiezioni, cosa che invece non accade. Inoltre non è presente nessun arredo scenico e quindi se non si segue attentamente il testo si rischia di non capire il luogo rappresentato. Poco soddisfacenti anche i costumi curati da Giuliana Colzi, tutti atemporali; i migliori quelli indossati dal protagonista, mentre l’abito verde di Semola ha convinto poco gli spettatori, tant’è che si è sentito dire da qualcuno “ecco Peter Pan”.
Prima ho parlato del fatto che se non segui attentamente il testo non riesci a indovinare in che luogo sei. Purtroppo il Teatro Goldoni di Livorno, dov’è andato in scena lo spettacolo, è un teatro nato per la lirica e non per la prosa, quindi molte parole si perdevano.
Non tantissimi gli applausi finali, forse anche per la lunga durata dello spettacolo, ma sicuramente rivolti tutti al bravissimo Alessandro Benvenuti e ai suoi straordinari compagni di viaggio.

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