Un Don Carlo dalle tinte cavaraggesche
di
Gabriele Isetto
Con
il Don Carlo di Giuseppe Verdi è
stato inaugurato il palcoscenico rinnovato della sala grande del Teatro del
Maggio di Firenze e per questa apertura la regia dello spettacolo è stata
realizzata da Roberto Andò.
Il
regista ha dato una chiave di lettura molto dark
di quest’opera, quasi caravaggesca, basti pensare all’origine della partitura
scritta da Verdi nel 1867 che risulta chiaroscurata e inquietante, e anche il
Maestro Daniele Gatti ha centrato il punto dirigendo magistralmente l’Orchestra
del Maggio Musicale evidenziando appunto le caratteristiche angoscianti dei
personaggi aumentando i tempi della partitura e mettendo il luce il pensiero di
Verdi: una riflessione sul trascorrere dell’esistenza e del suo inevitabile
epilogo.
Il
coro del Teatro, guidato da Lorenzo Fratini, come sempre è stato una certezza
interpretando ottimamente il popolo, i monaci, le dame, i cavalieri e gli
ambasciatori. Tutte queste figure sono fondamentali in quest’opera che non è
certamente semplice, anzi è molto complicata intrisa di storia, intrighi e
ovviamente una vicenda amorosa; basti pensare che lo stesso Verdi ha
addirittura rimaneggiato per ben tre volte la trama.
Premesso
questo, tutto il cast ha interpretato magistralmente i relativi personaggi, non
capita quasi mai che in uno spettacolo tutti gli artisti siano alla pari, ma
questa volta è successo partendo dal protagonista interpretato dal famosissimo
Francesco Meli e proseguendo con: Mikhail Petrenko (Filippo II), Massimo Cavalletti
(Rodrigo), Alexander Vinogradov (il Grande Inquisitore), Evgeny Stavinskiy
(frate), Eleonora Buratto (Elisabetta), Ekaterina Semenchuk (Eboli), Aleksandra
Meteleva (Tebaldo/Lerma) e Joseph Dahdah
(araldo).
Come
detto precedentemente, Andò ha dato una chiave di lettura molto dark che si rispecchia anche nella
bellissima scenografia di Gianni Carluccio poco illuminata, quel che basta per
farti capire cosa succede sulla scena facendo sì che l’attenzione si focalizzi
sul fulcro della messinscena : molto azzeccata ad esempio la scena del
gabinetto del re illuminata con delle candele quasi a ricordare un dipinto di
Caravaggio, in particolare il San
Gerolamo scrivente (1605-1606 Roma, Galleria Borghese). Anche i costumi di
Nanà Cecchi giocano molto sul chiaro/scuro soprattutto con la predominanza del
colore del nero, il colore della morte, in quasi tutta l’opera.
Lo
spettacolo è stato davvero un successo, chiaramente provato dai lunghi applausi
finali sia al cast sia al maestro Daniele Gatti.
Le
foto a corredo dell’articolo sono di © Michele Monasta