di
Gabriele Isetto
Venerdì 23 luglio a Torre del Lago per il 67° Festival Puccini andrà in scena la Tosca con la regia di Stefania Sandrelli e per l’occasione Andrea Tocchio, scenografo e costumista per quest’opera, mi ha concesso un’intervista.
Per creare la
scenografia e i costumi ha tratto ispirazione da qualche fonte storica –
artistica? O ha preferito non farsi influenzare?
Per
quanto riguarda la scenografia la fonte di ispirazione si può dire che sia partita
dall’unione di due concetti. Per la fonte storica mi sono ispirato a quelle che
sono le incisioni che vanno dal Cinquecento fino al Piranesi, e sono state la
base per evidenziare il concetto di un mondo privo di coscienza di cuore che è poi
il mondo del carattere di Scarpia, nel quale si svolgono tutte le vicende e
quindi l’ispirazione diciamo storica delle scenografie può essere questa. Per
quanto riguarda l’ispirazione dei costumi sono abbastanza filologici per quanto
riguarda la fattura, ma nello stesso tempo si stagliano su questa scenografia
con dei forti accenti di colore che stanno a sottolineare i caratteri dei vari
personaggi ed amplificare quella che è la loro struttura drammaturgica che si
muove all’interno di tutta quanta l’opera.
Il costume esprime i
caratteri dei personaggi e secondo molti costumisti questo è uno degli elementi
cardine per fare costume di scena. Lei che opinione ha in merito?
Sicuramente
il costume è un elemento che deve sottolineare quello che è l’aspetto del
carattere e drammaturgico dell’opera, ma non solo riguarda il singolo personaggio
ma riguarda anche l’equilibrio che c’è tra i personaggi stessi e quindi il
costume ha un valore in se.
Quanto nel suo lavoro è
importante l’uso del colore per ideare le scenografie e i costumi?
L’uso
del colore è molto importante per quanto riguarda lo studio di scenografia e
costumi. Innanzitutto i colori già di per sé hanno delle caratteristiche di
frequenza, proprio di colore, che vanno a solleticare nel pubblico alcuni
aspetti entrando in risonanza con quelli che sono i propri sentimenti e quindi
già dettano la prima sensazione che deve arrivare al pubblico e questo fa sì
che, appunto il colore, detti in parte quella che è la sensazione che dai al
pubblico, coerente con quella che è la drammaturgia e con i caratteri dei
personaggi.
L’opera che vedremo in
scena avrà un’impronta classica, contemporanea o ci sarà una commistione tra i
due aspetti?
Sicuramente partirà da
una riconoscibilità classica anche se, come dicevo prima, è ispirata a un bianco
e nero, alle incisioni, ha quindi un carattere che va quasi sul simbolismo.
Mano mano che và avanti l’opera aumenterà la forza simbolista, per poter
sottolineare alcuni aspetti ed entrare più a fondo all’interno dei caratteri
dei personaggi e della drammaturgia che collega i loro caratteri.
La collaborazione con Stefania Sandrelli le ha
lasciato libertà creativa in modo da poter agire in maniera ottimale sull’anima
dei personaggi o le ha posto dei vincoli?
Con la regista Stefania
Sandrelli ci siamo confrontati più e più volte e abbiamo trovato un’idea
creativa. Lei si è trovata molto bene e si è affidata molto alle mie impressioni
e alla traduzione di quello che ci siamo detti in pratica, utilizzandole sia
per le scenografie che per i costumi e come aiuto all’impostazione registica.
In una produzione creare sia le scenografie che i
costumi è più semplice o più complicato che occuparsi di uno soltanto di questi
aspetti?
Sicuramente
occuparsi sia di scenografie che costumi è più complicato dal punto di vista
organizzativo e dal punto di vista quantitativo di lavoro. Si riesce però a
mantenere una coerenza tra scene e costumi. Questo non è così assoluto perché
dipende molto dal team, a volte c’è
un’armonia tale che si riesce comunque a lavorare fianco a fianco, ognuno
stimolando l’altro e raggiungendo dei livelli molto più alti.
Quant’è
importante per lei il feddback della critica nel suo lavoro?
È molto importante
capire quanto il tuo lavoro sia apprezzato e recepito dal pubblico, quanto il
tuo lavoro riesca a far scaturire delle emozioni. E’ un po’ come un quadro, un
po’ come un’opera d’arte, non può essere fine a se stessa, ci deve essere
comunque il coinvolgimento del pubblico che la deve fare sua, la deve
interpretare, la deve gioire e la deve poi, a sua volta, esprimere con il
sentimento e restituire un sentimento a quello che uno fa. Non ci può essere
l’uno o l’altro, ma devono essere opera e pubblico all’unisono, altrimenti non
funziona.