Dal cinema al palcoscenico: la sfida è vinta con I soliti ignoti
di
Gabriele Isetto
Sicuramente
non è stato facile per Antonio Grosso e Pier Paolo Pucciarelli adattare per il
teatro un film come I soliti ignoti (1958),
un cult del cinema italiano che
vedeva protagonisti attori come Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e Totò.
La versione della Compagnia Gli Ipocriti, che è andata in scena al Teatro
Goldoni di Livorno, è stata una sfida vinta, di come si può portare sul
palcoscenico un titolo famoso, questo grazie alla regia di Vinicio Marchioni,
che interpreta anche il ruolo di Tiberio, che ha saputo mettere un tocco
personale in alcune parti ben integrandole però ad altre che sono rimaste
invariate rispetto all’originale.
Quella
che viene rappresentata è l’Italia speranzosa degli anni ‘50 dove la povertà la
faceva da padrona e dove l’arte di arrangiarsi, di vivere alla giornata, anche
nel crimine, era diffusa. Ecco allora che un improbabile gruppo di uomini
semplici, ladruncoli con tutti i
loro limiti, che si illudono di poter fare il grande colpo, quello della vita e non
svelo niente se anticipo che falliranno miseramente ma facendoci sorridere infatti,
invece di arrivare alla ricca cassaforte del Monte di pietà si ritroveranno in
una cucina a placare la fame che gli aveva dato l’input per il colpo con
un’ottima pasta e fagioli.
Quello
che interessa non è però tanto il furto in sé, ma la lunga preparazione di esso
che serve per delineare il ritratto dei personaggi, al contempo comici e
tragici, e ancor più il ritratto di un’epoca.
Tutti
i protagonisti contrassegnano i loro caratteri con quelle che sono le
particolarità dei personaggi originali e lo fanno senza strafare mantenendone
anzi tutta la credibilità, ecco allora che ritroviamo la balbuzie di Peppe “er
pantera” (Massimo De Santis), l’accento romagnolo di Capannelle (Salvatore
Caruso), il fotografo senza un soldo Tiberio (Vinicio
Marchioni), Ivano Cruciani, nei panni dell’esperto delle tecniche di scasso
Dante, che si discosta però dall’originale di Totò anche perché per quanto
bravo, sarebbe stato improbo reggere un tale paragone, il siciliano Ferribbotte
(Vito Facciolla) gelosissimo della sorella Carmela (Marilena Annibali) di cui è
innamorato il bel Mario (Antonio Grosso). La Annibali ha un doppio ruolo
interpreta infatti anche Nicoletta, la domestica della casa in cui la banda
deve fare il colpo. Un discorso a parte merita il personaggio di Cosimo
(Augusto Fornari) per la morte del quale viene trovato un buon escamotage,
infatti è raccontata dal personaggio stesso illuminato dall’alto in un toccante
monologo.
Il
buon lavoro fatto da tutti gli attori è ottimamente supportato dai bei costumi,
creati da Milena Mancini, che ricordano molto quelli del film e contribuiscono
a restituire l’atmosfera del dopoguerra come concorrono a ricreare la periferia
italiana in bianco e nero sia la scenografia minimale di Luigi Ferrigno che le
luci di Giuseppe D’alterio.
Come
dice il regista: «E’ una storia bella e necessaria, che ci parla del presente
immergendoci nel passato» e che suscita divertimento e commozione.