Il passato rivive al Teatro Regio di Parma con Un ballo in maschera
di Gabriele Isetto
Un
“tuffo” nel passato grazie all’allestimento dell’opera Un ballo in maschera di Verdi con la regia di Marina Bianchi che ha
inaugurato la stagione lirica 2019 del Teatro Regio di Parma.
Brillante
la direzione del maestro Sebastiano Rolli che ha guidato con maestria l’Orchestra
Filarmonica Italiana in concerto con L’Orchestra Giovanile della Via Emilia,
rispettando sempre al meglio e con delicatezza i colori e gli accenti della partitura
verdiana.
Egregia
la prova del coro anch’esso protagonista come spesso accade nelle opere di
Verdi diretto dal maestro Martino Faggiani e che, grazie anche alle coreografie
di Michele Cosentino, ha contribuito in maniera notevole alla buona riuscita della
rappresentazione.
Nel
ruolo di Riccardo, Saimir Pirg ha convinto da un punto di vista recitativo
anche se la sua voce, nelle arie più drammatiche, ha un po’ mancato di energia.
Discorso opposto per Leon Kim nei panni di Renato che alla bella vocalità non ha
aggiunto la dovuta espressività scenica. Prova superata per il soprano Irina
Churilova (Amelia) che ha sfoderato una buona vocalità e disinvoltura sul
palcoscenico soprattutto tenendo conto che ha dovuto subentrare con poco
preavviso a Virginia Tola. Brava Laura Giordano nell’interpretazione del paggio
Oscar che, nonostante fosse fortemente indisposta, ha dato risalto al suo
personaggio.
Perfetta
l’Ulrica della mezzosoprano Silvia Beltrami sia espressivamente che vocalmente,
come buoni sono risultati Massimiliano
Castellani (Samuel) e Emanuele Cordardo (Tom). Una menzione infine per Fabio
Previati nel ruolo del marinaio e per Blagoj Nacoski nei panni sia del Giudice
che del servo di Amelia che hanno rispettato pregevolmente il loro ruolo.
Le
voci di tutto il cast sono state valorizzate anche grazie alla particolare
conformazione della scenografia che ha ridotto lo spazio scenico ed è stata il
vero punto di forza di questo Ballo in
maschera. L’allestimento
rappresentato è stato una “chicca” imperdibile per gli amanti dell’opera, infatti
sono state recuperate le scene create dal professor Giuseppe Carmignani per il
centenario verdiano del 1913.
Mentre
si ascoltano le note dell’overture,
viene proiettato un filmato che mostra l’opera di recupero delle scenografie
cartacee dal deposito del Teatro ed il loro successivo restauro da parte di
Rinaldo Rinaldi grazie al quale si è potuto fruire di una vera rarità, soprattutto
facendo un raffronto con le scenografie contemporanee che, diciamo la verità, non
sempre sono all’altezza. L’intelligenza della messinscena, a mio parere, sta
nel fatto di non averne forzatamente voluto ricostruire le parti mancanti consumate
dal tempo, per far si che non si perdesse la storia.
A
non turbare la magnificenza delle scene, che si svelano con l’apertura del
sipario, gli arredi essenziali ma fondamentali curati da Leila Fteita che inoltre ha personalmente scelto il materiale con cui effettuare i restauri, della scenotecnica dello spettacolo ed ha progettato il pavimento dipinto come se fosse carta.
I costumi di foggia seicentesca, creati per l’occasione da Lorena Marin, si fondono alla perfezione con l’ambiente, quasi a creare un tableau vivant soprattutto nella scena finale del ballo, degno del miglior Carnevale di Venezia. L’atmosfera quasi “polverosa” dei fondali è stata esaltata dal buon uso delle luci di Guido Levi.
Un grazie alla regista Marina Bianchi che ha saputo regalarci uno spettacolo come oggi si vede raramente, rispettoso della tradizione ma mai banale e che probabilmente non avrebbe deluso Giuseppe Verdi.
I costumi di foggia seicentesca, creati per l’occasione da Lorena Marin, si fondono alla perfezione con l’ambiente, quasi a creare un tableau vivant soprattutto nella scena finale del ballo, degno del miglior Carnevale di Venezia. L’atmosfera quasi “polverosa” dei fondali è stata esaltata dal buon uso delle luci di Guido Levi.
Un grazie alla regista Marina Bianchi che ha saputo regalarci uno spettacolo come oggi si vede raramente, rispettoso della tradizione ma mai banale e che probabilmente non avrebbe deluso Giuseppe Verdi.
Le foto di scena a corredo dell'articolo sono di © Roberto Ricci