Intervista a Stefano Vizioli
di Gabriele Isetto
In
occasione del 150° anniversario della morte di Rossini, il Teatro Verdi di Pisa
metterà in scena il 10 e l’11 marzo L’Italiana
in Algeri e nell’occasione il regista Stefano Vizioli, nonché nuovo
direttore artistico delle stagioni liriche del Teatro, mi ha concesso
un’intervista.
Quest’anno ricorrono i
150 anni dalla morte di Rossini, perché tra tutti i suoi titoli ha scelto di
mettere in scena proprio Italiana in
Algeri?
L’Italiana in Algeri è
un’opera collettiva, mi piaceva un’opera che avesse un gioco di squadra di un
cast giovane e che non fosse volutamente un cast di prime donne o di prime
parti, ma fosse invece presente il gioco cartesiano della drammaturgia. Quando
si fanno le opere comiche di Rossini, che sono quelle più difficili, è come un
orologio svizzero dove se una vite non è perfetta, manda all’aria l’intero
meccanismo e poi anche perché sempre per i 150 anni i successivi appuntamenti
rossiniani affronteranno un Rossini più “belcantistico” di cui però non
anticipo il titolo perché sarà una sorpresa, quindi è il nostro modo di
celebrare un compositore che io amo particolarmente.
Che tipo di lavoro ha
svolto con Ugo Nespolo per la realizzazione dei costumi e della scenografia?
Con
Ugo abbiamo una vecchia amicizia che risale al 1994 quando abbiamo fatto
insieme L’elisir d’amore. Io sono
affascinato dal suo mondo cromatico e pittorico perché mi piace molto
l’allegria che mette nella pittura, e questo si evince particolarmente in una
partitura come L’Italiana in Algeri che
è gioia pura, non ha le ombre successive di Turco
in Italia o le nevrosi del Barbiere
di Siviglia o la malinconia di Cenerentola,
è l’opera di un ventunenne pieno di vita in una città come Venezia.
Qual è la chiave di
lettura che ha dato all’opera? Si è mantenuto vicino alla classicità o ne ha
dato una visione più moderna? E come ha trattato la figura femminile?
Sicuramente
è un’opera femminista perché la protagonista è una donna che manipola questi
uomini a suo piacimento. Rossini comico è una delle sfide più difficili per un
regista, perché deve assolutamente vincere il gioco di squadra e deve vincere
questo gioco direi meccanico del vigore cartesiano del gioco scenico. E’ vero
che c’è la comicità, ma è sorvegliata da un grande senso della struttura per
cui ho lavorato molto sulle azioni e sulle reazioni, perché si recita anche
quando si sta zitti: si recita con gli occhi, con la postura, con le mani e con
l’attenzione, quindi episodi come il quintetto del secondo atto o il finale del
primo atto sono un grandissimo gioco di squadra.
Come direttore della
stagione lirica che tipo di difficoltà incontra sia come budget che come scelta
stilistica?
La
scelta dei titoli fondamentalmente nasce da un discorso di passione personale,
nel senso che io voglio essere libero di scegliere anche titoli che Pisa non
conoscesse, perché un teatro non deve essere solo per riconoscere ma anche per
conoscere, e non dare solamente quello che uno si aspetta ma anche dare quello
che uno non sa di desiderare. Innanzitutto bisogna avere una conoscenza del
repertorio assoluta, per cui sapere che ci sono dei capolavori meno frequentati
ma che sono sempre dei capolavori e poi il discorso del budget è fondamentale
per capire che titoli puoi fare. Se tu non hai soldi un Rigoletto costa meno di una Traviata,
se devi fare un’opera sul repertorio. Ci sono delle opere che puoi fare,
famose, ma costano meno e altrettante opere famose ma che costano quattro volte
di più. Io voglio che il pubblico di Pisa sia destabilizzato dal vedere titoli
che non ha mai visto e non dare l’ennesimo titolo strafamoso. Sicuramente devi
dare anche quelli, ma se insieme offri anche opere sconosciute, permetti allo
spettatore di scoprirle.