Innovativa e al contempo tradizionale la Tosca di Puccini secondo Davide Livermore
di
Gabriele Isetto
A
distanza di nove anni al Teatro Carlo Felice di Genova torna la Tosca di Giacomo Puccini con un
allestimento molto apprezzato di uno dei più famosi registi d’opera attuali:
Davide Livermore. La sua chiave di lettura rimane fedele all’epoca in cui il dramma
è ambientato, cioè il 1800, perché esso fa parte di quelle opere che, come
afferma il regista, avendo precisi riferimenti storici non possono essere
decontestualizzate, vedi ad esempio le varie battaglie di Napoleone. Di
conseguenza anche l’aspetto visivo di questo spettacolo, seppur con un taglio
cinematografico, è come Puccini lo aveva immaginato.
A
dirigere l’Orchestra Pier Giorgio Morandi che non tradisce la partitura
pucciniana, ma anzi si sofferma con molta cura sulle arie più famose come «E
lucevan le stelle». Inoltre è stato palpabile l’ottimo rapporto tra Maestro,
coro e cantanti.
Claudio Marino Moretti ha guidato, come sempre, in maniera egregia il coro, che ha riscosso successo con moltissimi applausi alla fine del primo atto per l’ottima esecuzione del Te Deum.
Claudio Marino Moretti ha guidato, come sempre, in maniera egregia il coro, che ha riscosso successo con moltissimi applausi alla fine del primo atto per l’ottima esecuzione del Te Deum.
Nulla
da eccepire sulle interpretazioni dei vari personaggi. Veramente eccezionale
Amartuvshin Enkhbat nel ruolo del cattivo Scarpia che con la sua potente voce
baritonale ha catturato il pubblico; Maria José Siri ha dato vita a una Tosca
dal forte carattere e che ha un’evoluzione dal primo al terzo atto
presentandoci prima una giovane ragazza gelosa e innamorata fino ad arrivare poi
a una donna adulta che uccide Scarpia per salvare il suo amore; bravissimo
anche il Cavaradossi di Riccardo Massi, all’inizio un po’ giù di voce ma che si
è ripreso perfettamente; una lode va a Manuel Pierattelli nei panni di uno
Spoletta più che convincente; ha ricoperto adeguatamente il suo ruolo di
Angelotti Dongho Kim; non meno performanti anche gli altri membri del cast:
Matteo Peirone (Sagrestano), Claudio Ottino (Sciarrone), Franco Rios Castro (un
carceriere) e Maria Guano (Pastorello).
Come
scritto all’inizio Livermore è rimasto fedele all’epoca in cui si svolge il
libretto e di conseguenza ha creato una bellissima scenografia fissa che poggia
su di una base ruotante in modo da poter evidenziare di volta in volta la
prospettiva sia degli ambienti, sia degli stati d’animo dei personaggi. Anche i
bellissimi costumi ottocenteschi di Gianluca Falaschi si uniscono perfettamente
alla scenografia e risaltano grazie al buon uso delle luci. Molto particolare
la realizzazione scenica del terzo atto, dove possiamo vedere un angelo con in
mano una grande croce che sembra una statua, ma che in realtà è un attore che
per tutta la durata resta perfettamente immobile.
Non
di facile comprensione il messaggio che il regista propone nel finale infatti
subito dopo la frase « Scarpia, avanti a Dio!!» Tosca, secondo il libretto, si
dovrebbe gettare da Castel Sant’Angelo, cosa che invece non avviene poiché la protagonista rimane come pietrificata
accanto all’angelo. È il modo di Livermore per dire che «lei non è morta dentro
di sé. Si suicida ma non ne prende coscienza fino a quando il suo spirito vede
il suo corpo.».