Teatro del Carretto: una nuova chiave di lettura per Pinocchio
di
Gabriele Isetto
Per
festeggiare i 140 anni della storia di Pinocchio,
il Teatro Goldoni di Livorno ha ospitato una versione teatrale delle avventure del
burattino abbastanza strana e a suo modo interessante, ma che ha lasciato un
po’ di amaro in bocca agli spettatori. Stiamo parlando della messinscena del
Teatro del Carretto, famosa compagnia lucchese nata nel 1983.
La
regista Maria Grazia Cipriani ha voluto, secondo me, dare una chiave di lettura
abbastanza oscura, partendo dall’interessante scenografia di Graziano Gregori:
un grande muro nero semicircolare che si apre e si chiude per far entrare in
scena personaggi e oggetti, soluzione azzeccata per lo svolgersi della trama.
Sicuramente la scena più riuscita è stata quella del circo con un cerchio aereo
infuocato attraversato da Pinocchio. A rendere ancor più interessante il tutto
l’ottimo uso delle luci ideate da Angelo Linzalata. Anche i costumi, curati
sempre dallo scenografo, sono fortemente simbolici, ad esempio la Fata Turchina
e Pinocchio sono vestiti di bianco: per la Fata simbolo di purezza e per il
burattino simbolo di purificazione e di un nuovo inizio. Molto belle le
maschere dei vari animali (conigli, asini, Gatto, Volpe) usate dagli altri
attori: Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Carlo Gambaro, Ian
Gualdani e Filippo Beltrami.
Purtroppo
le interpretazioni attoriali hanno presentato alti e bassi. Bisogna subito dire
che c’è una grossa differenza interpretativa infatti solamente due attori
recitano delle battute: Giandomenico Cupaiuolo (Pinocchio) e Elsa Bossi (Fata),
tutti gli altri usano in maniera ottimale la gestualità e la prossemica.
Cupaiuolo purtroppo ha avuto una prestazione alternante rendendo un Pinocchio a
volte banale, a volte sopra le righe, invece la Bossi ha recitato alla “vecchia
maniera”, quasi antica, mi vengono quasi in mente i personaggi della tragedia
greca. La scelta registica di far recitare in questo modo i due protagonisti
non ha prodotto i suoi frutti e forse, a mio parere, sarebbe occorsa una
recitazione più lineare, anche perché tra il pubblico erano presenti bambini.
In
questo spettacolo come brani musicali sono stati inserite due arie d’opera:
«Vesti la giubba» dall’opera Pagliacci di
Ruggero Leoncavallo e «O mio babbino caro» dal Gianni Schicchi di Giacomo Puccini. La prima aria secondo me non
era pertinente con il personaggio Pinocchio che non è un pagliaccio, ma un
“bambino” in difficoltà contro le cattiverie e gli inganni delle altre persone;
la seconda aria invece, era perfetta all’inizio dello spettacolo a sottolineare il rapporto tra padre
(Geppetto) e figlio (Pinocchio), ma meno pertinente in altri momenti, come
l’incontro tra il burattino e la Fata Turchina.
In
conclusione si è rivelata comunque un’interessante e nuova chiave di lettura
della storia, che ha tenuto attenti gli spettatori perché la vicenda di
Pinocchio non annoia mai.