La Turandot con il finale di Berio: non più un mondo “fiabesco”

di Gabriele Isetto


Grandissimo e meritato successo per un nuovo allestimento di Turandot in scena al Gran Teatro all’aperto Giacomo Puccini in coproduzione con il Teatro Goldoni di Livorno. La regia è stata affidata a Daniele Abbado il quale ha introdotto delle novità. La prima, e forse più importante, è che per la prima volta a Torre del Lago è stato eseguito il nuovo finale musicale (ma che non comporta cambiamenti alla vicenda) composto nel 2001 da Luciano Berio, sicuramente bello e coinvolgente ma forse gli spettatori, abituati al finale di Alfano, hanno fatto fatica ad “entrarci dentro”. Importante sottolineare come la composizione di Berio abbia influito prepotentemente sulla regia.


L’altra novità è invece registica e riguarda l’aspetto visivo. Non ci troviamo più in un mondo quasi “fiabesco” come l’aveva voluto Puccini con sontuosi e colorati costumi e scenografie anche perché, a pensarci bene, Turandot non può essere paragonata a una fiaba infatti, come afferma anche lo scenografo Angelo Linzalata, Turandotè una storia atroce, inizia con diversi morti, poi muore il Principe di Persia, poi il suicidio di Liù e non può essere oggi rappresentata  come allegoria fiabesca”. Di conseguenza è stata realizzata un’interessante e coinvolgente scenografia, aiutata sicuramente dall’uso delle luci, costituita da enormi pannelli con dei testi scritti, riscritti e cancellati dal popolo, proprio perché il popolo conosce molto bene la storia legata alla principessa. Azzeccata, simbolica e diversa da sempre la scena del suicidio di Liù: una grande pedana come simbolo di un altare con la presenza di oggetti di un rituale di morte, in particolare una bacinella piena di sangue, che lei si verserà addosso, come quasi un vaso di Pandora della crudeltà di Turandot: non a caso la stessa bacinella viene utilizzata per “uccidere” il Principe di Persia.
Veramente belli e atemporali i costumi di Giovanna Buzzi, in particolare il meraviglioso abito rosso indossato dalla protagonista, rappresentazione della sua crudeltà.
Di tutto rispetto la prova dell’Orchestra del Festival Puccini brillantemente diretta da John Axelrod soprattutto nel nuovo finale, atteso dagli spettatori.


In un’opera come Turandot non si può non parlare del coro, in questo caso magistralmente guidato da Roberto Ardigò, forse in alcuni momenti un po’ troppo statico ma sicuramente ha ben rappresentato quello che può essere considerato un personaggio a tutti gli effetti.
Il cast è stato veramente all’altezza della serata e senza distinzioni ognuno ha dato il meglio di se stesso, rendendo le sfumature di ogni personaggio e per questo voglio nominare tutti senza fare preferenze: Emily Magee (Turandot), Emanuela Sgarlata (Liù), Ivan Magrì (Calaf), Nicola Ulivieri (Timur), Giulio Mastrototaro (Ping), Marco Miglietta (Pong), Andrea Giovannini (Pang), Kazuki Yoshida (imperatore Altoum), Giovanni Cervelli (principe di Persia), Francesco Facini (Mandarino), Fleur Strijbos e Luisa Berterame (due ancelle).
 
Le foto a corredo dell’articolo sono di © Giorgio Andreuccetti e Aldo Umicini

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