Un tram che si chiama Desiderio: un ritratto graffiante dell’America anni ‘40
di
Gabriele Isetto
La
stagione di prosa 2019/2020 del Teatro Goldoni di Livorno ha aperto con un
titolo iconico e fondamentale per la letteratura del ventesimo secolo: Un tram che si chiama Desiderio di
Tennessee Williams e che valse al drammaturgo il Premio Pulitzer. Nel 1951
venne realizzato un famosissimo film per la regia del grande Elia Kazan e con
protagonisti Marlon Brando e Vivien Leigh.
Lo
spettacolo a cui si è potuto assistere è stato prodotto da Gitiesse Artisti
Riuniti in coproduzione con La Pirandelliana e il collaborazione con AMAT
mentre regia, scenografia e costumi sono stati affidati a Pier Luigi Pizzi
maestro indiscusso, che con i suoi lavori ha lasciato un segno indelebile in
tante produzioni della storia del teatro lirico e di prosa.
Già
nel 1947 Williams presentò un ritratto graffiante della società americana a lui
contemporanea prendendo come spunto un nucleo familiare di New Orleans dove
spesso l’omertà celava violenza sulle donne, sesso, omosessualità, disagio
psichico e vulnerabilità delle figure femminili che però avevano anche il
compito di mantenere le apparenze della famiglia con estrema falsità. Tutte
tematiche riportabili anche al mondo di oggi ma fortunatamente con una visione
diversa da parte della società.
Uno
spettacolo della durata di bene due ore e mezzo senza intervallo per non
interromperne il ritmo narrativo, anche se invece avrebbe alleggerito la
durezza del testo e lasciato allo spettatore un momento per scaricate le
tensioni accumulate.
Molto
bravi gli interpreti: Mariangela D’Abbraccio ha reso tutte le sfumature del suo
personaggio Blanche con l’apice della pazzia finale; Daniele Pecci un grande
Stanley sfrontato, duro e violento e Angela Ciaburro nel ruolo di Stella che
invece ha messo in luce una donna fragile e sottomessa al marito. Bravissimi
anche Stefano Scandaletti, Gabriele Anagni, Erika Puddu e Massimo Odierna.
La
scenografia ideata, pur rispecchiando l’estetica tipica di Pizzi, ha ricreato
quanto riportato nelle didascalie del testo originale ed è stata il giusto
“contenitore” per non distogliere l’attenzione degli spettatori dalla potenza
del dialogo.