Intervista a Vittorio Grigolo
di
Gabriele Isetto
Dal
25 al 29 giugno, presso il Teatro del Giglio di Lucca, si è tenuta la prima
edizione del Nicola Martinucci
International Voice Competition, concorso che ha premiato nuove e
promettenti voci dell’opera lirica. Tra i tanti membri della giura era presente
il tenore Vittorio Grigolo che mi ha gentilmente concesso un’intervista.
Venerdì 21 giugno l’ho
vista in diretta dall’Arena di Verona insieme ad Antonella Clerici per la prima
de La Traviata dall’Arena di Verona.
Che emozione ha provato nel rendere omaggio a Franco Zeffirelli e che emozione
proverà la sera del primo agosto nel ruolo di Alfredo?
È
un’emozione incredibile ogni volta che si fa parte di un’opera del grande
Maestro soprattutto un’opera che dovrebbe essere la somma che racchiude tutta l’esperienza
che Franco ha avuto nelle otto Traviate precedenti,
questa è una Traviata incredibile che
solo l’Arena poteva, con i suoi spazi, rendere così cinematografica. Io mi
sento come un uomo sulla luna, come Armstrong quando disse “un piccolo passo
per l’uomo è un grande passo per l’umanità”, quando si canta in Arena c’è
sempre tanto timore però alla fine ci dobbiamo rendere conto che siamo dei
gladiatori e soprattutto, quando si è di fronte a La Traviata di Zeffirelli, l’ultimo suo capolavoro, anzi forse non
l’ultimo perché credo ci sia un Rigoletto
dopo di questo, è un’emozione grandissima perché lo porto ne cuore, perché
ho tantissimi insegnamenti. Per la semplicità, l’amore, la gioia e i valori di
Franco che si ripercuotono nei colori e nel calore di questo allestimento,
nello spostamento delle masse che lui prediligeva e di cui era maestro eccelso
e soprattutto perché mi mette nei panni di un Alfredo che è stato per me il
debutto con Franco Zeffirelli dove io per la prima volta feci un ruolo con lui
nel 2006 a Roma e poi tanti altri dopo.
Penso che sia molto
importante il lavoro che lei ha fatto portando la lirica ad Amici, quindi rivolgendosi ad un
pubblico giovane. Cos’altro si potrebbe fare per avvicinare i giovani alla
lirica?
Usare
il loro linguaggio, il linguaggio del corpo, essere freschi e diretti, senza
fronzoli, arrivare direttamente a loro usando espedienti che possono essere un
fusione con altri stili come ho fatto io, uscire dal teatro e andare a fare una
trasmissione come Amici e portando in
prima serata l’opera alle nove di sera, questo non è mai successo, quindi sono
queste le scommesse. Se non si fa sentire la grande musica non si può certo
amarla, quindi bisogna dare gli spazi anche all’opera come si danno a tutti gli
altri stili, perché fa parte della nostra cultura.
So che non è facile per
un interprete rispondere a questa domanda, ma lei preferisce le regie classiche
o contemporanee?
Ovviamente
classiche perché la contemporanea la posso accettare ma solo se rispetta
comunque un libretto e tutto quello che c’è scritto e c’è una filologia e una
concretezza nella messinscena, nelle scenografia e nei costumi. Si può anche
sconvolgere una regia e inventare qualcosa di nuovo ma ci deve essere sempre un
rispetto della tradizione e di un libretto. Il regista deve conoscere l’opera.
Com’è nata in lei la
passione per il melodramma?
Il
melodramma significa recitar-cantando, quindi significa che bisogna saper
recitare e cantare. Amavo entrambe e ho detto “ma se le mettiamo insieme cosa
ci dà?” poi mi ha appassionato il fatto di sentire mio zio, che devo dire che è
stato un grandissimo tenore, non famoso. Però fece il Concorso delle Prime Voci
Nuove di Lucca e lo vinse con in commissione Victor de Sabata, Gino Bechi, Tito
Gobbi, Beniamino Gigli e Magda Olivero e lui vinse con Improvviso dall’Andrea
Chenier. Il suo nome era Emo Grigolo e lo ricordo oggi ancor più in questa
città di Lucca dove sono tornato come giudice.