Intervista a Gabriele Giaffreda
di Gabriele Isetto
Martedì 12 febbraio al Cinema Teatro 4 Mori di
Livorno andrà in scena L’avaro di Molière per la regia di Ugo
Chiti. Per l’occasione l’attore Gabriele Giaffreda, che interpreta il ruolo di
Valerio, mi ha gentilmente consesso un’intervista.
Che tipo di lavoro hai
fatto per calarti nel personaggio di Valerio?
Ugo
Chiti, il regista, è stato molto chiaro sul tipo di strada che dovevo un po’
intraprendere. È un personaggio multidimensionale, tra l’altro per me è sempre
molto stimolante avere a che fare con personaggi che non sono bidimensionali ma
che si muovono su piani diversi ed effettivamente Valerio è uno di questi
perché è si l’innamorato, ma allo stesso tempo, per raggiungere il suo
obbiettivo di sposare Elisa e il coronamento di un sogno d’amore con lei, deve
“travestirsi”, come dice proprio nel testo, deve mascherarsi per cercare di conquistare
il cuore del padre di lei, Arpagone e riuscire quindi ad avere la mano della
figlia. E’ stato quindi un lavoro che puntava a cercare di riportare da una
parte, i sentimenti di un personaggio che comunque ricerca l’amore e lo sogna,
dall’altra quella di raggiungere questo obbiettivo attraverso il mascheramento,
in parte quasi da Commedia dell’Arte. È stata una scelta giusta per far si che
il personaggio fosse il più possibile genuino nella maschera, mantenendo sotto
un fondo di verità, di agitazione e sofferenza. Lui recita perché Arpagone non
è un personaggio semplice con cui rapportarsi, Valerio dentro di se non lo ama.
Cosa ti ha insegnato
lavorare accanto ad Alessandro Benvenuti?
Lui
è uno di quegli attori da cui puoi assorbire tanto nella pratica e quindi
effettivamente è stato arricchente lavorare spalla spalla con lui, fargli anche
da spalla nel vero senso della parola perché ci sono alcune scene in cui Valerio
di fatto è una spalla comica. E’ stato bello entrare nelle dinamiche della
comicità con lui. Ci divertiamo molto tutti, non solo io e Alessandro, questo
il pubblico lo sente, in generale tutto lo spettacolo è divertente, è anche il
servizio giusto che deve fare a Molière.
Ti sei cimentato in
tutti i campi (cinema, fiction, cortometraggi, pubblicità, teatro e doppiaggio)
quale preferisci e perché?
Devo
dire che il mio cuore è sicuramente nel teatro proprio perché da li ho
cominciato anche se, sono tutti mondi nei quali mi piace però tuffarmi per variare,
per darmi nuovi stimoli perché ognuno di questi alla fine ha un linguaggio
diverso e quindi è bello essere un attore capace di destreggiarsi tra più
linguaggi appunto, da quello del doppiaggio a quello del teatro, a quello del
cinema. Tutto questo è molto stimolante ma ripeto, il mio cuore è legato al
palcoscenico.
Hai mai pensato di fare
regia teatrale? Se si, cosa ti piacerebbe mettere in scena?
L’ho
fatta soltanto una volta, due anni fa. Mi sono cimentato nella regia teatrale
per uno spettacolo itinerante scritto da mia moglie, una cosa molto particolare
sulla contessa di Castiglione. Mia moglie è drammaturga e quello è stato uno
dei pochi casi in cui mi sono convinto in un certo senso a fare il regista
perché il team era familiare (ride) e me ne sono assunto la
responsabilità, che era completamente sulle mie spalle. Altre volte è successo
che fossi regista di miei monologhi o spettacoli dove in scena c’ero solo io,
però sempre in co-regia. Non escludo che in futuro ci possano essere altre
occasioni che mi vedranno in questo ruolo però, al momento, nel fare regia
sento ancora fin troppa pesantezza di responsabilità. Ancora mi interessa e mi
entusiasma di più lavorare come interprete.