Intervista ad Alberto Paloscia
di Gabriele Isetto
Dopo
avere incontrato il direttore artistico della stagione lirica del Teatro
Goldoni di Livorno, di seguito riporto l’intervista che mi ha gentilmente
concesso.
Quali sono a suo
giudizio le principali criticità del mondo teatrale territoriale in generale e
della lirica in particolare? Che cosa manca?
Innanzitutto
la scarsità dei finanziamenti. Noi come Teatro Goldoni abbiamo un finanziamento
della Regione e un finanziamento dello Stato però diciamo che la lirica
dovrebbe essere più sostenuta finanziariamente perché, a mio avviso, è una
forma di spettacolo più completa, più complessa, più ricca e che unisce
musicisti, coro, orchestra, tecnici, cantanti, scenografi, registi, è un
meccanismo molto affascinante e una delle macchine teatrali più complesse e
quindi andrebbe maggiormente sostenuta. Naturalmente si risente della crisi del
Paese, ci sono problemi più grandi della lirica, però la lirica rappresenta la
cultura italiana all’estero quindi, se Mascagni e la sua città arrivano così
lontano, vuol dire che è una forma d’arte prettamente italiana e che
rappresenta la cultura italiana all’estero. Un’altra cosa negativa è che
Livorno avrebbe bisogno di un festival dedicato a Mascagni, perché esiste il
Festival Puccini, il Festival Verdi, il Festival Rossini, infatti nonostante
qui si faccia Mascagni da anni e si siano riscoperti dei titoli rari, non c’è
stato un riconoscimento per un festival su Mascagni, e il festival ci
consentirebbe invece di avere un finanziamento speciale proprio per Mascagni e
di conseguenza, staccare i titoli mascagnani dalla stagione lirica.
Quali sono le
principali strategie per promuovere il teatro? Quali canali prediligete?
Per
me la lirica ha bisogno di un totale cambio di pubblico perché io sono arrivato
qui negli anni Novanta e c’era uno zoccolo duro di abbonati, di fans di
Mascagni, persone che erano un po’ in là con gli anni. Oggi il problema di
Livorno è il pubblico, quindi lo strumento per creare un nuovo tipo di
pubblico, di giovani, è il coinvolgimento delle scuole e in questo il Teatro ha
dato vita a una strategia abbastanza efficace con le prove aperte, con
l’alternanza scuola-lavoro, gli spettacoli che facciamo per i giovani e soprattutto
per i giovanissimi. È fondamentale internet, Facebook, il rapporto con i media,
bisogna arrivare a comunicare al pubblico quello che fa il teatro perché
abbiamo bisogno di pubblico.
In che modo vi occupate
della “contemporaneità”? E che tipo di rapporto c’è fra la contemporaneità e la
tradizione dal punto di vista artistico e culturale? E come ne tenete conto per
la programmazione?
La
vocazione di ogni teatro sarebbe quella, soprattutto nel settore della lirica,
di dare possibilità e spazio alla contemporaneità, ma in che senso:
commissionando nuove opere, magari a giovani musicisti. Io devo dire che ho
sempre sentito questa esigenza perché, quando nel 1990 sono stato nominato
direttore artistico, ho rischiato di popolarità perché era il centenario di Cavalleria rusticana e invece di fare il
classico abbinamento con I Pagliacci, ho commissionato al compositore Marco
Tutino, allora giovane anche se già affermato, La Lupa perché pur essendo il centenario di Cavalleria, volevo dare un taglio nuovo. Scelsi questo titolo
perché sia Mascagni che Puccini lo avevano “accarezzato”. Questo comportò un
margine di rischio ma fu un grande successo, oggi si punta più su titoli
nazional-popolari. Io sarei molto aperto alla contemporaneità, commissionare
ogni anno un’opera nuova. Ma con la crisi che c’è non sempre un’opera
contemporanea porta pubblico, quindi diciamo che il taglio contemporaneo mi
piace darlo in certi casi più dal punto di vista spettacolare: coinvolgendo
registi che provengono dalla prosa, dal cinema; usare strumenti sperimentali
come la virtualità e la multimedialità. La contemporaneità deve attraversare il
teatro d’opera perché a mio avviso serve per portare un pubblico diverso e
avvicinare i giovani, oggi l’opera fatta in maniera troppo tradizionale con la
scena dipinta, i costumi d’epoca, non attirerebbe i giovani, anche se al
pubblico medio piacciono di più. Anche la rilettura registica è importante, io
sono contrario alle regie trasgressive che ambientano l’opera che va contro la
musica, l’importante è non andare contro l’autore e contro la musica. L’opera
deve essere vicina a un pubblico contemporaneo, quindi un minimo di
aggiornamento ci vuole per renderlo meno imbalsamato.
Parlando della stagione
lirica, qual è stato il maggior successo degli ultimi 3 anni? E quale il flop?
Io
sono molto orgoglioso dei titoli mascagnani che abbiamo fatto. Sono
contentissimo di Iris (2017) perché è
la prima volta che un teatro italiano ha interagito con un teatro giapponese,
cosa mai successa prima, è stato un sogno che io perseguivo da anni quello di
mettere in scena Iris con un teatro
giapponese. Sono contento del successo della nostra Bohème (2019), è stata un trionfo, grazie alla collaborazione con
il Maggio Musicale Fiorentino. Se si può parlare di flop, alcuni titoli non
hanno attirato il pubblico. Noi abbiamo una prima rappresentazione in
abbonamento che è sempre piena mentre la seconda, essendo fuori abbonamento, si
riempie solo con titoli di repertorio. Mi è dispiaciuto molto che un opera come
Pia dè Tolomei (2018) non abbia
riscontrato il favore del pubblico.
Com’è il rapporto con
la tecnologia nella sfera tecnica teatrale?
La
tecnologia oggi è fondamentale. L’uso della tecnologia per realizzare
scenografie, anche virtuali, proiezioni, a volte può avere costi molto alti, ma
ti aiuta a rendere lo spettacolo più moderno e agile. Oggi sulla tecnologia si
punta tanto, io la apprezzo molto e mi piacerebbe che venisse fatta anche qui
al Teatro Goldoni la ripresa streaming che
oggi è fondamentale. Guarda il Teatro Carlo Felice di Genova che ha tutta la
stagione in streaming. È importante
per chi non si può muovere o chi non può pagare il biglietto.
Quale rapporto c’è fra
contenuto e “contenitore”? Ce n’è una che prevale sull’altra?
Io
punto molto sul contenuto perché mi fa piacere che non ci siano scelte casuali,
ma che puntano su cartelloni con un filone ben preciso, in primis Mascagni che
è un contenuto importante perché ci permette di studiare il suo repertorio, di
collegarlo ai musicisti del nostro tempo e anche di formare una nuova
generazione di cantanti.