Intervista a Leila Fteita
di Gabriele Isetto
Venerdì
27 luglio al Gran Teatro all’aperto Giacomo Puccini debutterà per il 64°
Festival Puccini La Bohème per la
regia di Alfonso Signorini. Per l’occasione, la scenografa e costumista dello
spettacolo Leila Fteita, mi ha concesso un’intervista.
Oggi lei è una
scenografa e costumista affermata, ma com’è nata questa sua passione? E come
sono stati i suoi inizi?
Io ho iniziato da
giovanissima, anche perché sapevo già cosa volevo fare, non ho avuto
sbandamenti durante la parte di studio. Ho fatto degli studi assolutamente
mirati, perché avevo una predisposizione al disegno e alla progettazione, banalmente
ero brava a disegnare: questo alle elementari, alle medie, poi ho fatto il
liceo artistico, poi l’Accademia delle Belle Arti di Torino, poi sono subito
andata a Roma e mi sono messa subito a lavorare. Il mio primo maestro è stato
Mauro Pagano. Io adoravo la progettazione legata alla musica, quindi l’opera
lirica è la sintesi di tutte le arti perché nella progettazione c’è:
architettura e progetto, pittura, decorazione, scultura, storia dell’arte e poi
la musica che accompagna l’arte visiva. Ho pensato che il mondo della lirica
era il mio mondo.
Generalmente
da dove trae ispirazione per i suoi lavori?
La mia fonte è il mio
bagaglio culturale, tutto quello che negli anni uno vede, legge, studia,
mostre, libri, quindi fa parte di ognuno di noi. Io sono appassionata di arte e
di pittura, quindi è tutto un bagaglio che rimane nella memoria, poi noi
viviamo in Italia, dove c’è la maggior parte del patrimonio artistico del mondo
e quindi per noi è anche molto facile sentire l’energia dell’arte perché ci
abitiamo dentro.
Nel
caso di questa Bohème so che la principale
fonte d’ispirazione è l’impressionismo ed in particolare Renoir, Manet e
Toulouse-Lutrec, ma quali sono i dipinti che avete preso in esame?
E’ un omaggio
all’impressionismo. Abbiamo preso ispirazione dal tipo di pittura usata dagli
impressionisti che è il vibrato, che è l’impressione di come loro vedevano le
cose, di come sentivano la luce, di come vedevano la luce posarsi sulle case e
quindi tutta la scenografia, anche se con un po’ di difficoltà, è tutta dipinta
con la tecnica a pennello con una sovra stratificazione di colori, proprio come
facevano gli impressionisti per dare alla fine una sintesi unica di come la
luce si può usare, in questo caso sulle case di Parigi.
Il
costume esprime i caratteri dei personaggi e questo è uno degli elementi
cardine per fare costume di scena. Lei che opinione ha in merito?
I personaggi di questa Bohème sono i personaggi della Belle Èpoque, anche il tipo di vita è
legata a come vivevano a Parigi, i grandi caffè, la borghesia che va all’opera e
quindi molto eleganti. Il popolo e i borghesi non uscivano mai senza cappello,
senza guanti, erano comunque molto eleganti e quindi mi sono ispirata al tipo
di società di Parigi del 1870, il periodo in cui si stava sviluppando la Belle Èpoque legata agli impressionisti
e ho cercato di rappresentare quel mondo lì, con una citazione anche
particolare del quadro La gazza di Monet nel
terzo atto della dogana. Se uno è un discreto conoscitore dell’arte, secondo me
riesce a riconoscere citazioni molto precise e anche nel costume abbiamo delle
citazioni molto precise. Le donne nei quadri degli impressionisti: disperante,
che frequentano caffè, donne che sanno che gli uomini frequentano i locali. C’è
proprio un costume molto preciso ispirato a Toulouse-Lautrec, una delle
ballerine, abbiamo cercato di rifare il costume.
La
collaborazione con Signorini le ha lasciato libertà creativa in modo da poter
agire in maniera ottimale sull’anima dei personaggi o le ha posto dei vincoli?
Questa idea di
ispirarsi agli impressionisti è la fonte d’ispirazione della regia dello
spettacolo, è l’imput che mi ha dato Signorini. Ha deciso di fare queste citazioni
e io come scenografa e costumista ho cercato di fare il meglio per far sì che
la sua idea fosse sviluppata.
Qual
è il suo rapporto con i tessuti e i materiali che utilizza? Predilige in modo
particolare materiali nuovi o diciamo più classici?
Dipende sempre da che
costume è. Questi sono costumi classici, quindi vengono utilizzate stoffe
classiche. È importante la qualità del tessuto, con un tessuto classico puoi
fare qualsiasi cosa, e forse anche con un tessuto moderno puoi fare delle cose
classiche, non ci sono delle barriere quasi fisiche per quanto riguarda i
tessuti.
In
una produzione, creare sia le scenografie che i costumi è più semplice o più
complicato che occuparsi di uno soltanto di questi aspetti?
Non è più complicato, è
solo una mole di lavoro enorme. Io di solito in tutte le produzioni che faccio
firmo sempre scene e costumi. Poi dipende da quanto è “grande” lo spettacolo e
da quanto tempo ho per dedicarmici, perché il lavoro è enorme. In questo caso i
costumi li ho realizzati da Tirelli, nota sartoria teatrale, mentre le
scenografie le ho realizzate alla Cittadella del Carnevale qui a Viareggio e
quindi è un omaggio all’artigianato locale.
Lei
si preoccupa mai di come saranno interpretati i suoi costumi dalla critica e
dal pubblico? Quant’è importante il feddback nel suo lavoro?
Non posso pensare a
cosa pensano gli altri che vengono a vedere lo spettacolo. Bisogna essere
intellettualmente onesti con se stessi e fare il proprio lavoro fatto bene,
questo è già un traguardo importante.