Intervista a Michele Riondino
di Gabriele Isetto
Prima
che si alzasse il sipario sullo spettacolo Giulio
Cesare di Shakespeare uno dei protagonisti Michele Riondino, conosciuto al
pubblico televisivo per aver recitato nella fiction Il giovane Montalbano, mi ha concesso un’intervista.
Può parlarmi di questo
particolare allestimento di Giulio Cesare?
Questo
Giulio Cesare è particolare perché
mette in scena un Giulio Cesare donna, ma anche altri ruoli sono interpretati
da donne. Questo fa si che sia già un Giulio
Cesare particolare e l’idea del regista è proprio quella di evidenziare
come nella gestione del potere non ci sia differenza di genere. E come le donne
che sono salite al potere oggi, non hanno dato un tocco di femminilità alla
gestione del potere, quindi è un potere gestito in maniera asessuata. Questa è
già una particolarità dello spettacolo, in più questo Giulio Cesare non mira ad avere un eroe, nessuno dei personaggi
risulta più ragionevole di altri, risulta avere la ragione dalla sua parte, pur
avendo la ragion di stato che li protegge e li copre, qui la ragion di stato si
confonde con la ragione personale. Questo fa sì che questo sia uno spettacolo
sul populismo, i due monologhi sono fatti in maniera populista, sono
l’espressione del populismo, questi personaggi si rivolgono a una platea illuminata,
proprio che si vede in faccia, dove viene chiamato in causa proprio il pubblico
che è il popolo.
E del suo ruolo di
Marco Antonio cosa mi dice?
Innanzitutto
è un piacere recitare quelle parole là, perché sono parole contemporanee e
attuali. Il Giulio Cesare è uno di
quei testi che anche tra cinquant’anni resterà un testo contemporaneo. Quando
faccio il mio monologo, la famosa orazione funebre, ho in mente come potrebbe
essere la difesa di un Mussolini oggi, e quindi come accade oggi, vengono
solleticate varie parti dell’elettorato che fanno riferimento a quel tipo di
gestione del potere, un richiamo al fascismo e al passato. Il mio Marco Antonio
è un personaggio che richiama a quel passato a quella dittatura, ma in maniera
partecipata e quasi vittimistica. Qui i ruoli sono capovolti e di quel Benito
Mussolini, di quel dittatore vengono cantati elogi che non stanno né in cielo
né in terra.
Qual è il significato
di questa scelta di inserire immagini attuali e forse destabilizzanti che
rendono contemporaneo e politico questo spettacolo?
Questa
è una risposta che non posso dare perché non sono io il regista. Nelle
intenzioni c’era quella di portare ai giorni nostri un tema, il tema della
democrazia al cui centro c’è il diritto e quindi anche il diritto di avere la
pace. Oggi, per come conosciamo la democrazia, per raggiungere quella pace
molto spesso si è arrivati a dei delitti.
Qual è la differenza tra la
recitazione televisiva/cinematografica e quella teatrale? E dove si trova più a
suo agio?
Le
differenze sono abissali perché sono due mondi totalmente differenti. Io ho
sempre pensato che nel cinema la recitazione è al servizio di una tecnica che
impari nel tempo, paradossalmente è molto più facile far finta che quello che
tu fai risulti vero più a teatro che non al cinema che in realtà riproduce
esattamente la realtà. Il cinema lo fa chi lo guarda, perché chi guarda, guarda
esattamente quello che succede e ci crede, il teatro si fa insieme. Chi fa
l’attore ama entrambi perché usa strumenti diversi.
Lei si è cimentato con la regia
teatrale nello spettacolo La vertigine
del Drago, qual è il ruolo che le da più soddisfazione? L’attore o il
regista?
A
teatro mi piace dirigere quello che faccio proprio perché io vengo dal teatro,
ho studiato teatro, il teatro lo sento come casa mia. Nel cinema non ho
completa cognizione di tutto. Nel teatro sento di essere capace di gestire i
fili. Mi piacerebbe misurarmi con una regia che non mi vede in scena.
C’è uno spettacolo che le piacerebbe
allestire?
Ce
ne sono diversi, ultimamente stavo leggendo con molto interesse Pasolini.
Può anticiparci
qualcosa sulla terza stagione del Giovane
Montalbano? Quant’è difficile distaccarsi da Luca Zingaretti?
Non
è difficile, perché i due lavori sono così indipendenti che viaggiano su binari
separati, nessuno calpesta il terreno dell’altro. La terza stagione al momento
non è in discussione. Il 26 febbraio andrà in onda un film per la televisione
sempre tratto dai romanzi di Cammilleri che mi vedrà protagonista. Al momento la
parabola del Giovane Montalbano si
chiude qui.
Qual è il libro che
ritiene fondamentale non tanto per la sua formazione di attore, quanto come
uomo e che consiglierebbe a tutti di leggere?
Si,
sono due libri dello stesso autore, che solitamente si leggono in età
adolescenziale. Quindi l’invito è proprio agli adolescenti di approcciarsi alla
letteratura con questi due libri: Narciso
e Boccadoro e Il lupo della steppa di
Herman Hesse.