Giulio Cesare di Alex Rigola: il potere oggi come ieri

di Gabriele Isetto


All’apertura del sipario, in una scenografia scarna e all’apparenza bidimensionale, lo spettatore è “aggredito” da una serie di frasi e da due immagini emblematiche: quella del volto contratto di Obama nel momento della cattura di Bin Laden e quella del corpicino inerme del piccolo Ailan, tristemente nota. In questo modo il regista Alex Rigola ci dimostra come il potere e la sua gestione siano sempre attuali, oggi come nel 1599 quando William Shakespeare scritte il suo Giulio Cesare. Il testo originale, leggermente variato, non perde però assolutamente la sua essenza e il suo valore.
Come già affermato, lo spazio scenico ideato da Nao Albet, è essenziale ma significativo e funzionale allo spettacolo: sul proscenio una serie di microfoni ai quali si avvicinano gli attori per recitare le loro battute, mentre sullo sfondo è presente un enorme container le cui pareti sono usate nel primo atto per proiettare immagini, parole e video mentre nel secondo atto viene aperto per permettere la visione di ossa, che nient’altro solo che la conseguenza dell’ultima parola proiettata alla fine del primo atto: WAR.



I dodici attori del cast si dimostrano all’altezza della situazione e al di là del popolare Michele Riondino che regge bene la parte di Marco Antonio, spiccano e convincono, passando l’esame a pieni voti per la loro recitazione specialmente Maria Grazia Mandruzzato nel ruolo di Giulio Cesare, Margherita Mannino in quello di Cassio e Stefano Scandaletti nel ruolo di Bruto e Beatrice Fedi che interpreta Ottaviano. Colpisce sopratutto il fatto che il ruolo di Giulio Cesare sia ricoperto da una donna ma ciò è importante, sia perché si allude apertamente all’omosessualità del personaggio sia per dimostrare, come afferma anche Michele Riondino, l’asessualità del potere. Altra cosa da non trascurare è che gli attori indossino costumi, creati da Silvia Delagneau, da lupo Ezechiele (vedi la fiaba dei Tre porcellini) perché come affermò Plauto nella commedia Asinaria “l’uomo è lupo per l’altro uomo”. Una pecca dal punto di vista recitativo è la scarsezza di gestualità a rafforzare ed accompagnare la parola e una certa staticità dovuta giocoforza al fatto di dover sostenere il ruolo davanti ai microfoni.
Molto interessante che la platea sia trasformata, attraverso l’abbattimento della quarta parete, nel popolo al quale Marco Antonio si rivolgere durante l’orazione funebre, perché tutti siano chiamati a rispondere e ad interrogarsi su quanto è accaduto, senza mai dimenticare il coinvolgimento in prima persona.
Come sempre in queste occasioni, il pubblico si è diviso tra i tradizionalisti che avrebbero preferito le toghe e la classica oratoria romana e chi invece è aperto alle novità. Questi ultimi hanno prevalso e hanno dimostrato il loro apprezzamento, infatti copiosi sono stati gli applausi finali. 

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