la costruzione e la conservazione del costume di scena

di Gabriele Isetto


Come afferma Molinari in Leggere il teatro, una rappresentazione nella sua complessità è la somma di più codici, nove per la precisione ed uno di questi riguarda il costume che da subito trasmette allo spettatore  che cosa aspettarsi dallo spettacolo.
Con il termine costume si intende non solo l’abbigliamento ma anche l’acconciatura e l’aspetto fisico dell’attore, raccontandoci ogni sfaccettatura del personaggio. Il costume può essere più o meno legato al periodo storico in cui il dramma si svolge anche se, fino ai primi anni dell’Ottocento e poi nel teatro odierno spesso gli abiti di scena rispecchiano l’epoca a loro contemporanea, facendo eventualmente ricorso ad un solo elemento che possa farne comprendere l’ambientazione.
Molteplici sono le funzioni del costume, esso può infatti celare o enfatizzare la figura i cui parametri spesso creano un collegamento con il ruolo sociale. Per poter classificare un costume sono quattro i parametri fondamentali: la forma, il materiale, il colore e la struttura.
Vari sono gli stadi della creazione di un costume, innanzi tutto abbiamo il figurino, che deve soddisfare le esigenze dello spettacolo e permettere all’attore libertà di movimenti; una volta che il figurino rispetta questi parametri, si passa alla creazione del modello cioè il trasferimento del disegno, stavolta in misura reale, su carta velina e poi su tela. Una volta terminato il modello, che verrà naturalmente conservato per poter essere riutilizzato, si passa allora alla scelta del tessuto, al taglio e all’unione delle parti. Terminata la costruzione dell’abito, qualora sia richiesto, si passerà al ricamo tenendo conto del fatto che esso sarà visto soprattutto da lontano. Il lavoro del costumista non può però dirsi terminato, egli infatti dovrà essere presente alle prove sul palco per controllare che tessuti e ricami siano adeguatamente valorizzati dalle luci di scena o se, invece, debbano essere apportati dei cambiamenti nel caso in cui stoffe e colori non risaltino adeguatamente.    Fondamentale è la collaborazione tra il costumista, che identifica il personaggio e il sarto che concretizza l’idea.
La cosa importante è che i costumi vengano creati in modo che possano avere una “vita” oltre il singolo spettacolo, che non divengano soltanto reperti destinati all’esposizione museale, e ciò è possibile solo se la creazione del costume va oltre la semplice riproduzione dell’abbigliamento del passato, grazie alla genialità del figurinista (che dal 1958 sarà sempre riconosciuto)¹ e della sartoria che darà vita al disegno creativo. In seguito, ogni costume sarà probabilmente sottoposto a modifiche e aggiunte, diverrà cioè un costume da repertorio e non più da protagonista, perdendo quella che era la sua prima identità. Fortunatamente non sempre ciò accade grazie  a quelle sartorie e fondazioni che conservano i costumi nella loro interezza.



¹ Bruna Niccoli, La sartoria Cerratelli. Costumi per lo spettacolo del Novecento, in Officina Cerratelli. Quaderno numero Uno. La Fondazione Cerratelli, costumi per lo spettacolo del Novecento, cit., p. 54

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